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Skye aveva visto il suo primo doccione da bambina, quando suo padre l'aveva portata a visitare la cattedrale di Notre Dame. La maschera grottesca che ammiccava le era apparsa come un mostro sfuggito ai suoi peggiori incubi. Soltanto dopo che il padre le aveva spiegato come i doccioni altro non fossero che scarichi per la pioggia si era calmata accantonando le paure infantili, anche se non aveva potuto fare a meno di chiedersi come mai scultori di simile talento non avessero scelto soggetti più gradevoli alla vista. In quel momento, mentre batteva le palpebre, vide che il suo incubo era tornato. Peggio ancora: le stava parlando.
«Bentornata, mademoiselle», articolò la bocca crudele a pochi centimetri dal suo viso. «Abbiamo sentito la sua mancanza.»
Il volto apparteneva a Marcel, il tizio con la testa a proiettile responsabile dell'armeria del castello. L'uomo riprese a parlare.
«Sarò di ritorno fra un quarto d'ora. Non mi faccia aspettare.»
Skye chiuse gli occhi, il corpo scosso da un'ondata di nausea. Quando li riaprì, vide che era sola.
Cercò di orientarsi. Era nella stanza in cui aveva indossato il costume da gatto per il ballo in maschera dei Fauchard. Rammentò che stava ritornando al suo appartamento. Scavando più a fondo, le tornarono in mente i due americani che si erano smarriti, la puntura al fianco, il suo scivolare nell'incoscienza.
Santo cielo, era stata rapita!
Si alzò a sedere sul letto e lanciò le gambe oltre il bordo. Aveva in bocca un sapore metallico, probabilmente il residuo della sostanza chimica iniettatale per addormentarla. Fece un profondo respiro e si alzò in piedi, mentre la stanza prendeva a vorticarle intorno. Barcollando, si trascinò verso il bagno e vomitò nel lavandino.
Contemplando il proprio riflesso, riconobbe a stento il viso nello specchio, pallido come un fantasma, i capelli opachi e scarmigliati. Si sentì meglio dopo essersi lavata la bocca e aver spruzzato un po' di acqua sul volto. Ravviati i capelli con le dita, lisciò al meglio le grinze sul vestito.
Era pronta quando, pochi minuti più tardi, Marcel spalancò la porta senza bussare per ordinarle di seguirlo. Si avviarono lungo gli interminabili corridoi coperti di moquette, oltrepassarono le forche caudine dei volti appesi alle pareti della galleria. Skye cercò con lo sguardo il ritratto di Jules Fauchard, ma era sparito. Al suo posto, soltanto la parete nuda. Finalmente, si ritrovarono davanti all'ufficio di madame Fauchard.
Dopo averle rivolto uno strano sorriso, Marcel bussò leggermente e aprì la porta sospingendola nella stanza. Seduta alla scrivania di madame Fauchard, una donna bionda guardava fuori della finestra girandole le spalle; al rumore della porta che si richiudeva, fece ruotare la poltrona per fissare in faccia la nuova arrivata.
Aveva una carnagione color pesca esaltata dai penetranti occhi grigi. Le voluttuose labbra rosse si socchiusero per mormorare: «Buon pomeriggio, mademoiselle. Aspettavamo il suo ritorno, dopo un commiato tanto spettacolare».
La mente in subbuglio, Skye si chiese se non stesse ancora risentendo dei postumi del narcotico.
«Si sieda», ordinò la donna, indicandole una poltrona di fronte alla scrivania.
Skye ubbidì, muovendosi come uno zombie.
La tizia, intanto, la osservava con aria divertita.
«Che c'è che non va? Sembra distratta.»
Skye era più confusa che distratta. La voce proveniente dalla bocca della donna era quella di madame Fauchard. Aveva perso la tendenza a incrinarsi tipica della persona anziana, ma il tono tagliente era inconfondibile. Nella mente di Skye si affollavano i pensieri più pazzi. Possibile che Racine avesse una figlia femmina? O magari si trattava semplicemente di una brava ventriloqua.
Alla fine, ritrovò la voce per mormorare: «Cos'è, una specie di trucco?»
«Nessun trucco. Ciò che vede è la pura e semplice realtà.»
«Madame Fauchard?» Le parole le uscirono dalla bocca in un balbettio.
«In carne e ossa, mia cara», confermò l'altra con un sorriso malvagio.
«Solo che io sono giovane, adesso, e lei vecchia.»
Skye continuava a essere scettica. «Deve assolutamente darmi il nome del suo chirurgo plastico.»
Un lampo d'ira passò negli occhi della donna, ma durò solo un attimo.
Alzatasi in piedi, girò attorno alla scrivania con movimenti sinuosi e si chinò ad afferrare la mano di Skye, che posò sulla propria guancia.
«E ora, mi dica se le sembra opera di un chirurgo.»
La carne era tiepida e soda, la pelle soffice al tatto, senza traccia di rughe.
«Impossibile», bisbigliò Skye.
Madame Fauchard lasciò cadere la mano e tornò a sedersi cominciando a giocherellare con le proprie dita per far notare a Skye come non fossero più nodose.
«Non si preoccupi, non sta diventando matta. Sono la stessa persona che ha invitato lei e il signor Austin alla mia festa in maschera. Lui sta bene, mi auguro.»
«Non lo so», rispose Skye, circospetta. «Non lo vedo da giorni. Come...»
«Come ho fatto a trasformarmi da vecchia gallina starnazzante in una donna giovane e bella?» completò la francese in tono sognante. «È una lunga, lunga storia. Non ci sarebbe voluto tanto, se Jules non fosse sparito con l'elmo», aggiunse, sputando fuori il nome con acrimonia. «Avremmo potuto risparmiare decine di anni di ricerche.»
«Non capisco.»
«L'esperta di armi antiche è lei. Mi dica tutto ciò che sa dell'elmo.»
«È molto antico. Cinquecento anni, forse di più. Il metallo è di qualità eccelsa; potrebbe addirittura essere stato ricavato da un meteorite.»
Madame Fauchard arcuò un sopracciglio.
«Molto bene. L'elmo è composto di materia cosmica e la sua robustezza ha salvato la vita a più di un Fauchard, in battaglia. Fuso e riforgiato nel corso dei secoli, fu trasmesso dall'uno all'altro dei veri leader della famiglia. Apparteneva a me, di diritto, non a mio fratello Jules.»
Dopo qualche istante per assimilare le parole, Skye ansimò: «Suo fratello!»
«Esatto. Jules aveva un anno meno di me.»
Skye tentò di fare il conto, ma aveva la mente in subbuglio. «Significherebbe che lei ha...»
«Mai chiedere l'età a una signora, ma le risparmierò la fatica: ho superato il traguardo del secolo.»
Skye scosse la testa, sbigottita. «Non ci credo.»
«Il suo scetticismo mi ferisce», protestò madame Fauchard, ma l'espressione del volto smentiva le sue parole. «Le piacerebbe conoscere i particolari?»
Skye era combattuta fra la curiosità scientifica e la repulsione. «Ho visto ciò che è accaduto a Cavendish per aver ficcato il naso nei vostri affari.»
«Oltre ad avere la lingua lunga, Lord Cavendish era un essere terribilmente noioso. Ma non si monti la testa, mia cara. Quando avrà la mia età, avrà imparato a guardare le cose nella giusta prospettiva. Da morta non mi sarebbe di alcuna utilità: l'esca viva dà sempre risultati migliori.»
«Esca, per cosa?»
«Non per cosa. Per chi. Per Kurt Austin, naturalmente.»